martedì 7 luglio 2020

La resistenza "canterina" in tempo di pandemia

Una pandemia….e chi se l’aspettava? L’evento ha travolto anche la mia piccola oasi musicale e giovedì 5 marzo 2020 ho dovuto comunicare a tutti i gruppi di genitori bimbi 0-3  del Lab musica baby la chiusura immediata delle attività in modo da poter così applicare le misure cautelative previste dal contestuale decreto ministeriale.
In realtà, mossa dal mio innato ottimismo, avevo già pronto un piano B: utilizzare skype per realizzare delle micro sessioni online formate da 4\5 bambini e un adulto di riferimento per ciascuno dei piccoli.

Le sessioni si sarebbero svolte secondo un calendario settimanale così da preservare, anche se al minimo, quella ciclicità così importante per i bimbi in questa fascia d’età e mantenere, come possibile, quelle buone prassi di cura tanto necessarie allo sviluppo del mondo emotivo ed affettivo dei più piccini.
La settimana successiva alla chiusura eravamo dunque già pronti a partire con 7 gruppi skype di genitori bimbi e per tre mesi (da marzo a maggio), ogni settimana, abbiamo cantato ai piccoli riadattandoci, con coraggio, ad una  impensata , esperienza digitale.
È nato così, d’istinto, il mio progetto di “resistenza canterina” Keep Calm and Stay Singing.
Come nel mio stile ho seguito la scia del sentimento, ero certa che rimanersi accanto sarebbe stato bellissimo…ma ...non avevo programmato nulla, ne avevo avuto mai esperienze simili, restare presente era il mio unico pensiero.

Ora, ripensandoci, se avessi aspettato un attimo e fossi stata meno istintiva mi sarei chiesta:
come mantenere quel contatto fatto di sguardi, di odori, con i bimbi ed i genitori?
come condividere, per via digitale, emozioni ed affetto?
come fare musica insieme mantenendo quelle peculiarità che la rendono un evento tangibile, concreto, analogico?
come reperire quei riferimenti extraverbali imprescindibili per modulare l’incontro, come utilizzare il proprio “sentire”?
come passare con lo sguardo dall’amato cerchio (di quando si era seduti a terra intorno ad un simbolico fuoco\musica) alla linea retta, senza perdere lo sguardo di ognuno?
Queste le domande che, per fortuna, mi sono posta solo dopo aver iniziato.
Un’esigenza che si è mostrata fin dai primi incontri, in fase di programmazione, è stata quella di rendere l’attività musicale più visiva, ho aggiunto alcuni elementi di gioco (piccole sagome di personaggi, ambientazioni, disegni, pupazzi), ricercare i materiali e realizzare le idee sono stati, per me, gesti molto stimolanti, che hanno arricchito, non solo l’attività, ma tutto il mio approccio all’infanzia, di nuovi elementi creativi.
 Keep Calm and Stay Singing ha reso possibile qualcosa di unico: cantare ai bambini, insieme, in un periodo di emergenza, preoccupazione, incertezza e ridotti scambi sociali ha realizzato un immenso senso di comunità.
La musica è una cornice espressiva che definisce l'ambito della sensibilità personale, connette gli esseri umani tra di loro, fornisce una modalità comunicativa alternativa alla comunicazione verbale, permette di far fluire le emozioni, sciogliendo le paure, vivendo la gioia.

È stato possibile realizzare questa nuova modalità comunicativa seguendo il flusso degli eventi , accogliendolo e  rimanendo flessibili, riadattandosi alla nuova realtà, valorizzando le risorse personali, in modo  così da fronteggiare efficacemente la difficoltà……se è vero che i bambini imparano ciò che vivono, cantando loro e allontanando così, anche se solo per qualche istante, le preoccupazioni, i genitori hanno dato loro un grande esempio di resilienza.


 Nella foto la piccola M. mentre cantiamo mi dà "la pappa" realizzando così simbolicamente l'asse canto-nutrimento.





lunedì 6 aprile 2020

Io e la musicoterapia. Preludio.





Per me la musicoterapia è una storia di incontri e di suoni.
Tutta la mia formazione fino ad oggi, è stata così e, credo, lo sarà sempre.
Per primo l’incontro tra la musica e la terapia.
Terapia nella sua accezione più larga , che nel mio caso intende un processo di armonizzazione da collocarsi in un ambito vicino alla psicopedagogia.
Successivamente la storia dei singoli incontri, tra la mia musica e tantissime persone, i miei piccoli e grandi maestri.
Se mi fermo a pensare vedo scorrere infinite immagini, momenti di grazia, così li chiamo io, nei quali ho sentito forte, attraverso la musica, cuori e anime che hanno lasciato impronte indelebili.
Le prime immagini in assoluto hanno il nome di due ragazze: Lina e Caterina.
Era il 1995 e lavoravo come educatore professionale in un centro per disabili, molti dei quali non vedenti.
Vi siete mai chiesti come comunicare con una persona non vedente e gravemente compromessa dal punto di vista cognitivo?  Io non ci avevo mai pensato prima di allora, ma scoprirlo quanto prima era assolutamente necessario.
Quello che mi fu subito chiaro era come i codici, fino ad allora utilizzati per comunicare  , non fossero più adatti e che avrei dovuto cercare altre modalità.
Dunque….quali sarebbero stati i nuovi codici?
Il contatto? Sicuramente da usare con parsimonia per non risultare invadenti.  La sensibilità in certi contesti è altissima e la percezione amplifica qualsiasi azione proveniente dall’esterno.
Nell’atto di cura dell’altro, alcuni gesti vengono ripetuti a volte in modo automatico: il prendere le mani, guidare nel cammino, imboccare, lavare, aiutare ad alzarsi … renderli preziosi è un processo delicatissimo e complesso , da consacrare, ogni istante, sull’altare della quotidianità.
La parola? privata del suo significato diventa mero suono, un accompagnamento ai gesti che riteniamo necessario, rassicurante, più del silenzio, che esige confidenza e intesa per essere tollerato a lungo da entrambe le parti.
Lo sguardo? Cosa sa dello sguardo una persona non vedente? E di quelle qualità tattili, peculiari dello sguardo, che riconosciamo nella vita comune (lo sguardo che accarezza, che tocca… ) cosa rimane ? uno sguardo ti tocca ancora se non lo vedi ? E, se non l’hai mai visto, come puoi percepirlo?
Tante domande e poche risposte, ne ho ancora oggi, ma a quel tempo avevo poco più di vent’anni…. ero anche molto giovane.
Osservare, valutare, procedere empiricamente, avrei dovuto impegnarmi e farlo mentre ero intenta a compiere i gesti richiesti dal prendersi cura.
Che la musica potesse essere una strada me lo insegnò per prima Lina, quando, dopo pranzo, finita l’acqua nella bottiglia, iniziava a farla cadere sul tavolo, tante volte, cogliendo ogni rimbalzo, ma in un modo che oggi definirei, morbido e misurato. Non era un semplice gioco senso-motorio era qualcosa di più articolato, c’era una ricercatezza unica nei movimenti, io lo presagivo dallo sguardo estasiato e dalla minuzia con cui Lina soppesava la bottiglia trasparente (sulla quale spesso correva un raggio di sole) e ascoltava, con tutto il corpo, il suono prodotto dall’impatto con la superficie.
Aveva la concentrazione di uno scienziato, era un esploratore di fronte ad una nuova terra, un pittore davanti alla sua tela, una ballerina intenta a bilanciare gravità e muscoli per alzarsi sulle punte mantenendosi leggera come una piuma.
Quella musica che lei ricercava si nutriva dello stesso istinto creatore.
Quando rimanevamo sole, a volte lei, poggiava la mano sulla mia laringe, esternamente, “vuole che canti” mi dissero la prima volta e io, mentre cantavo, scoprivo la bellezza di diventare strumento musicale che vibra per qualcuno. La mia voce non era più solo la mia voce, era il suono della mia voce tenuta sul palmo della mano di Lina.  Una perla dentro l’ostrica, la perfezione del dono.
Poi c’era Caterina.
Caterina era molto silenziosa, non avevo mai sentito il suono della sua voce, né dei suoi passi leggeri, un corpo muto, questo mi pareva.
Riflettevo sul peso del portare il silenzio di un corpo. E di non lasciare tracce,udibili, al proprio passaggio.
Andò avanti così, per mesi, l’idea che avevo di lei, fino a quando, nell’ora di musica, non le fu dato un grosso Conga. Un corpo risonante, enorme, di fronte allo scricciolo che era, davanti a quel corpo che non lasciava tracce sonore. Senza vederlo, Caterina posò le mani sulla pelle dello strumento, in un movimento deciso che non ha bisogno degli occhi. Mani sulla pelle, ci penso ora, un contatto primordiale. Quindi il suono veloce, ritmato, forse un po' scomposto a tratti, ma pieno di gioia, un’ondata di gioia e VOCE.
Si! Caterina, suonando, usava la voce, un timbro scuro, fatto di suoni gutturali, profondi, come di viscere che sgorgano nella luce. Quindi il suono di un tamburo può dare voce, pensai.
Questa era la magia di Caterina.
Ed io avevo trovato così, con lei e con Lina la risposta alle mie domande, il suono è linguaggio, la musica una chiave espressiva e comunicativa. Per me fino ad allora era stata un piacevole passatempo. Divenne presto studio.
Avrei iniziato, da lì a poco, la mia formazione in musicoterapia.