lunedì 23 gennaio 2012

Apprendimento del linguaggio e sviluppo delle abilità musicali



Dagli studi condotti negli ultimi decenni da Fifer e Moon, da Shaidullah e Hepper, da De Casper e Spencer, da Marie Claire Busnell emerge che il bambino sviluppa la sua competenza linguistica già in utero dove percepisce non solo sonorità ma anche voci e parole, che rappresentano la stimolazione necessaria all’acquisizione del linguaggio. (Benassi )
Già dai primi mesi di vita il bambino inizierà ad avere esperienze di produzione vocale e sarà l’attenzione alle voci - parole - suoni dei genitori con la loro melodia, cadenza, variare d’intensità, a guidare il bambino verso le prime combinazioni di consonanti/vocali e allo sviluppo di una competenza prosodica che lentamente farà spazio a discorsi di suoni inizialmente incomprensibili. (Magnani 2000)
Gli studi che legano l’apprendimento del linguaggio alla musica riguardano anche l’area postnatale, il più recente è stato svolto da Jenny Saffran ed Erik Thiessen rispettivamente dell'Università del Wisconsin e della Carnegie Mellon University, in Pennsylvania, negli Stati Uniti ed è contenuto nella pubblicazione “The Neurosciences and Music - III, Disorders and plasticità”, fatta in collaborazione con la New York Academy of Sciences, in esso sono riportati oltre 60 lavori scientifici nel campo della neuromusica. I lavori sono stati presentati nell'arco dell'omonimo convegno organizzato a Montreal nel 2008 dalla Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani sulla scia del grande successo delle due edizioni precedenti, a Venezia nel 2002 e a Lipsia nel 2005.
Dallo studio emerge che i bambini imparano prima a parlare se possono seguire una melodia, quest’ultima rappresenta infatti uno stimolo che permette loro di memorizzare velocemente le parole (e quindi parlare) e le melodie (e quindi amare la musica).  
Se la melodia ha le parole, i bambini la ricordano meglio. E se i bambini imparano una melodia, possono memorizzare con più facilità le parole che la accompagnano.
Le ricerche di Saffran e Thiessen si sono concentrate sull'ambiente sonoro in cui crescono i bambini, che sin dalla nascita è permeato di musica ed è dominato da un linguaggio diretto a loro chiamato “Infant Directed Speech” (in passato definito motherese, quella specie di lingua cantilenata che gli adulti rivolgono ai piccoli) e che utilizza un linguaggio semplificato e un tono leggermente più acuto.
Secondo Saffran e Thiessen i bambini imparano più parole e le memorizzano meglio se queste sono cantate, se sono in rima e fanno parte di una canzone. D'altra parte, i bambini ricordano più melodie se queste hanno le parole e se sono cantate.
Già in un periodo a cavallo tra l’800 e il 900 gli studi di Otto Jespersen[i] sulla comparsa del linguaggio parlato come mezzo di comunicazione tra gli uomini (studi che a quel tempo non avevano ottenuto troppi consensi) avevano individuato tra le ipotesi quella così definita del trallallà secondo cui “ le espressioni di gioia e perfino il canto sono alla base della produzione linguistica”.[ii]
Dietro a queste osservazioni c'è l'idea che la musica possa essere un mezzo per facilitare la codificazione di messaggi non musicali, come il linguaggio, e per stimolare i processi di attenzione dei bambini. La musica, quindi, potrebbe essere impiegata con successo per accelerare l'apprendimento dei piccoli.
Fin dalla nascita il bambino comunica, agli adulti che si occupano di lui, la sua presenza attraverso il movimento e la voce, quest’ultima, in particolare, rappresenta la principale attività volontaria, accanto al succhiare, e permette al bambino di attuare le sue “esplorazioni” sul mondo.
Inizialmente il bambino utilizza quella prima, ed innata, espressione  vocale che è il pianto, al fine di comunicare attraverso il suo corpo esigenze e stati d’animo e richiamare l’attenzione dell’adulto in attesa di una risposta.
Prima ancora che si articoli la parola (pertanto il comunicare con essa senso e significato), la voce si autoesplora come strumento  musicale: piccoli borbottii, gorgheggi, ‘nghè, uè, glissandi ascendenti e discendenti, sono solo alcuni delle innumerevoli sonorità che vengono esplorate.
Dal quarto mese la voce viene utilizzata come un gioco attraverso il quale ascoltarsi quando, per esempio, è nella culla al mattino, o farsi compagnia mentre sta per addormentarsi,“i primi balbettii del lattante sono prodotti da movimenti irregolari e apparentemente casuali di organi diversi (laringe, lingua, guance, labbra, velo  del palato) i cui risultati acustici sono imprevedibili. Pur non essendo in grado di produrre sequenze sonore provviste di significato, il bambino possiede fin dalla nascita, già tutti gli elementi per un corretto sviluppo del linguaggio :un udito attento, occhi curiosi e un apparato fono - articolatorio perfettamente funzionante.”[iii]
Quando ormai ha esplorato la gamma dei suoni possibili lo strumento è pronto a vibrare il articolandosi in un amalgama  di suono, canto e parola.
Nel suo saggio sull’origine delle lingue J. J. Rousseau afferma che il linguaggio e il canto nella società primitiva non sono soggetti ad una distinzione netta, in effetti basta osservare il bambino piccolo: il pianto del neonato, i lalismi dei primi mesi, sono canto. Alla parola si giunge tramite il canto.
Assistere a tutto ciò con gli occhi meravigliati di una mamma vuol dire sentirsi risuonare all’interno della propria laringe (che svolge qui una funzione di risonanza), è per questo che tante mamme rispondono a questi primi suoni del bambino imitandone anch’esse il suono o ripetendoli aggiungendo variazioni ritmiche e/o melodiche.
Questi scambi sono alla base del turn - talking[iv]  e del dialogo con l’adulto e consentono al bambino di acquisire i primi elementi del lessico e le sequenze sonore della lingua di appartenenza. (Magnani 2000)
Nel percorso di esplorazione e di maturazione vocale di ogni bambino la voce della mamma e quella del papà rappresentano il modello preferenziale di riferimento, la base esperienziale a partire dalla quale compiere le prime vocalizzazioni.

Benassi E. Il suono e la musica agli albori della relazione madre-bambino, in Educazione Prenatale, n° 1, Pavia, Editore Bonomi, 1996.
Benassi E., Musica e preparazione alla nascita, in Emozioni in musica, Progetto Uomo-Musica, Educazione-Animazione-Terapia-Ricerca, n° 9, Assisi, Edizioni Musicali Pro civitate christiana, 1996.
Benassi E., Partorire e nascere in musica, in La nascita come evento, Vita dell’infanzia, luglio/agosto 1996, anno XLV, n° 6, Roma.




[i] Jens Otto Harry Jespersen (Randers, 16 luglio 186030 aprile 1943) è stato un linguista 

glottoteta danese, specializzato nello studio della grammatica della lingua inglese

[ii] Silvia Magnani, Il bambino e la sua voce, Milano, Franco Angeli editore 2000, p. 166.
[iii]  S.Magnani, Il bambino e la sua voce, cit., pp .44-45.
[iv] Con questo termine si indica l’alternanza spontanea degli interventi dei partecipanti ad una 

conversazione.